lunedì 21 marzo 2011

La figura paterna: una figura dimenticata

Le fatiche di Giuseppe, modello per i padri di oggi

di Michele Dolz
19-03-2011

Molti hanno chiamato san Giuseppe «il santo del silenzio», perché i vangeli non ci riportano nemmeno una parola da lui pronunciata. Eppure le scene che lo riguardano sono d’intenso drammatismo: l’indecisione su come comportarsi con la sposa gravida, la fuga precipitosa in Egitto, l’angosciante smarrimento del giovanissimo Gesù in Gerusalemme, per non dire della nascita del Bambino in una situazione precaria.

Ovvio che Giuseppe ha dovuto affrontare la responsabilità di guidare quella particolarissima famiglia, di prendere decisioni che coinvolgevano la sorte del Figlio di Dio incarnato. Giuseppe non poteva essere, quindi, il vecchio senza forze che ci hanno propinato i vangeli apocrifi e di conseguenza buona parte dell’arte cristiana. Perché mai Maria avrebbe dovuto sposare un uomo anziano. È ben più consono un Giuseppe nel pieno del vigore, capace di essere efficace protettore del Bambino e di sua Madre. Un Giuseppe che lavora sodo per mandare avanti i suoi. Ma anche un Giuseppe in grado di capire il mistero dell’Incarnazione e di mettersi a suo servizio; un’anima santa. Lo si invoca come patrono della vita spirituale perché nessuno più di lui è stato in intimità con Gesù e con Maria.

Paradossalmente il culto e la devozione a san Giuseppe sono «recenti» nella storia della Chiesa. Si hanno notizie di una festa di san Giuseppe il 19 marzo in alcuni calendari del Nord della Francia verso l’anno 800. Ma sarà soltanto nel Quattrocento che la devozione incomincerà a prendere corpo grazie all’influsso di san Bernardino da Siena, di Pietro d’Ailly e soprattutto di Jean Gerson, cancelliere dell’università di Parigi ed esponente della devotio moderna in Francia. In vista di quella fioritura a Parigi, papa Sisto IV nel 1480 introdusse la festa nel calendario universale. Nel 1621 Gregorio XV la elevò a giorno festivo di precetto. Fu poi Pio IX il grande propagatore: nel 1847 istaurò la festa del patrocinio di Giuseppe, da celebrare nella terza domenica di Pasqua. Una sorta di doppione, insomma. E nel 1870 nominò san Giuseppe patrono della Chiesa. San Pio X elevò di rango il «doppione». E Pio XII creò una nuova festa per ricordare san Giuseppe lavoratore, il 1° maggio 1955. Ma l’anno seguente soppresse la festa del patrocinio. Giovanni XXIII inserì la menzione di san Giuseppe nel canone romano della messa, l’unico allora in uso.

Non c’è da meravigliarsi di queste affermazioni «tardive» del culto a Giuseppe. La storia della teologia conosce molti di questi approfondimenti o «scoperte» di alcuni elementi della fede, dalla Madonna fino all’eucaristia. La figura di Giuseppe come «papà» di Gesù ci aiuta indiret-tamente a comprendere la necessità del padre in famiglia: Gesù ha voluto un padre. Non lo si può pensare solamente come custode della verginità di Maria e della sua stessa persona, come una specie di copertura sociale. Gesù è vero uomo come è vero Dio, e in quanto uomo ha attraversato tutte le tappe della crescita umana, dell’apprendimento, dell’inserimento nella comunità. È stato questo il compito di Giuseppe: crescere il Bambino come un figlio vero.

Giovanni Paolo II nella Redeptoris Custos (1989) ricordava che ci sono diversi modi di paternità, oltre a quella della carne. Poi, quando ebbe terminato il suo compito, Dio lo chiamò a sé. Non lo si vede più nel vangelo, Maria compare sempre da sola senz’altra compagnia che quella degli apostoli e delle donne. Gesù la deve affidare a Giovanni. È interessante che la devozione al santo sia andata crescendo pian piano, come dimostra l’iconografia, la quale solo nel Settecento immagina il trapasso di Giuseppe attorniato da Maria e Gesù ormai cresciuto. Lo si invocherà come patrono della buona morte.

Ma tornando alla paternità di Giuseppe, di questi tempi bi-sognerebbe invocarlo come patrono dei padri di famiglia. Si parla molto dell’assenza del padre come fenomeno grave e potenziale causa di gravi problemi, a cominciare da quello della proiezione di genere. È incredibile che mentre si pro-clama l’emancipazione della donna e si impone per legge la presenza delle donne in posti di responsabilità sociale, po-litica, economica, si continui a demandare alla sola madre l’educazione dei figli. Paradossalmente il padre era più presente in una società più arretrata. I padri cristiani devono ricordare che Dio ha voluto Giuseppe come «papà» del suo Figlio, e trarne le conseguenze.

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